Editoriale

Da bambina immaginavo che un giorno avrei raggiunto la Luna.

Lo scrivevo a 11 anni, in un compito in classe.
Il tema era libero ed io decidevo di raccontare del mio allunaggio.

Immaginavo di ripetere l’impresa del mio prozio Yuri Gagarin e in tre pagine, con qualche errore qua e là, descrivevo con precisione dal momento in cui mi caricavano le bombole d’ossigeno sulle spalle, fino al mio rientro in orbita. Dal saluto ai miei genitori, alle preghiere nella cappella della base spaziale; dal desiderio di dimostrare che anche una donna poteva compiere grandi imprese, fino al saluto alla nazione.

Ho immaginato mari, terre alte e altipiani.
Galassie e rotazioni celesti.

Una dea in volo su un cervo o su un gallo.
Un mulo o una capra.
Una donna con due teste di ariete.

Questa capacità immaginativa, questo fervore della fantasia, che tendiamo a perdere nella collusione con la realtà e con l’avanzare degli anni, ad un certo punto tornano a spingere e a reclamare un posto e lo fanno, come James Hillman spiega molto bene nel suo bellissimo libro La forza del carattere, sotto la forma della paura della perdita delle illusioni. Così mentre goffamente proviamo a dare una risposta alla domanda più spaventosa “rispetto a ciò che realmente sono, a che punto mi trovo?” compiamo e disveliamo il nostro carattere. Tornano allora nuove scoperte e promesse. Nuove rivelazioni.

Allora domani mi risveglierò bambina,
o forse mi riprenderò i miei anni tra le inerzie del tempo,

a fasciarmi di orizzonti impossibili,
testardamente me stessa…

Allora domani torneranno i mari, le terre alte e gli altipiani da immaginare.
Le galassie e le rotazioni celesti.

Una dea in volo su un cervo o un gallo.
Un mulo o una capra.
Una donna con due teste di ariete sul capo.
Una nuova Luna.
Questa è la nuova impresa.  

Donatella Franciosi, per Sergio